Individuazione dei titoli

2, novembre 2008 alle 9:54 am | Pubblicato su Asset allocation, Operatività | Lascia un commento

La scelta dei titoli sui quali operare va necessariamente relazionata al trend generale del mercato, al tipo di strategia temporale che si intende adottare, alla personale propensione al rischio e alla composizione del portafoglio.

Trend di mercato. La regola principale che sta alla base di una sana operatività è quella di assecondare il trend generale del mercato. Salvo casi particolari, le operazioni in controtendenza presentano dei rischi notevolmente maggiori di quelli ai quali si va normalmente incontro con le operazioni in tendenza. Saremo, quindi, compratori di titoli in un mercato al rialzo e punteremo al ribasso nel caso contrario.

Diversa è la situazione di un mercato congestionato, un mercato, cioè che si muove lateralmente con andamento oscillatorio. E’ consentito, in questi casi, il tentativo di anticipare i punti di svolta non dimenticando che ciò che può apparire come un prossimo punto di svolta può trasformarsi, invece, in un punto di rottura del canale laterale.

Ottica temporale. E’ strettamente legata alla volatilità del titolo che ci interessa, all’ampiezza cioè delle oscillazioni periodiche alle quali ciascun valore finanziario quotato è sempre soggetto. Un titolo con un buon trend rialzista e con oscillazioni limitate presenta, in un brevissimo periodo, minori possibilità di riuscire profittevole di quanto possa esserlo un titolo in tendenza limitata ma con ampia volatilità. Viceversa, in un’ottica di più lungo periodo, è maggiore la convenienza, se non altro sotto il profilo psicologico, a puntare su un titolo con un trend più accentuato ma con minori escursioni tra minimi e massimi.

Propensione al rischio. Il nostro atteggiamento condizionerà, anzitutto, l’ottica temporale dell’investimento. Ma si esprimerà concretamente anche con la selezione di titoli che, per soddisfare le nostre aspettative, presentino particolari caratteristiche di qualità, flottante, rischiosità intrinseca (coefficiente alfa) e aggressività (coefficiente beta).

Composizione del portafoglio. E’ certamente funzione della propensione al rischio visto che non è altro che la sommatoria delle caratteristiche di un insieme di titoli.

Profilo di rischio

1, novembre 2008 alle 7:23 PM | Pubblicato su Asset allocation, Azioni, Derivati e futures, Obbligazioni, Operatività | Lascia un commento

Prima di effettuare qualunque investimento, sia piccolo che grande, è necessario rendersi consapevoli del quadro generale in cui tale investimento si colloca (asset allocation complessiva del cliente) chiedendosi se tale investimento sia o meno coerente con il profilo di rischio dell’investitore.

Dunque, se anche investiamo 1.000 euro possedendo un patrimonio di 100.000 euro, dobbiamo comunque chiederci se tale investimento sia adatto a noi e alla nostra posizione.

Come valutare il proprio profilo di rischio

I bisogni materiali

Innanzitutto è necessario possedere un bilancio personale (o familiare) completo che permetta di valutare:

  • la capacità di generare reddito:
    le entrate annue al netto delle tasse (entrate da attività lavorative, affitti, investimenti);
    le spese annue complessive ordinarie (complesso delle spese cui il soggetto deve far fronte);
    le spese annue straordinarie (spese specifiche di importi rilevanti come auto, casa ecc.);

  • la capacità di generare risparmio;
    gli investimenti annui (quanto si è investito negli ultimi anni?);
    i disinvestimenti (quanto denaro si è prelevato dagli investimenti di lungo periodo negli ultimi anni?);
  • la patrimonializzazione:


il valore delle proprietà (al netto di debiti e mutui);
il valore degli investimenti di lungo termine;

  • il budget (pianificazione di fonti ed impieghi per l’anno/anni successivi).

La capacità di generare reddito: tale capitolo è evidentemente influenzato dalla situazione lavorativa dell’investitore e dalle attese sulla medesima (miglioramenti, pensione ecc.), dall’età dell’investitore o eventualmente di coloro che egli ritiene essere beneficiari del patrimonio.

La capacità di generare risparmio dirà quanto denaro l’investitore può investire nel tempo: maggiore è la sua capacità, più lungo sarà l’orizzonte dei suoi investimenti e quindi maggiore il rischio sopportabile per raggiungere rendimenti elevati.

Gli investimenti: non solo mobiliari ma anche immobiliari o di altra natura.

La patrimonializzazione è rilevante ai fini della determinazione del rischio cui un investitore può essere soggetto; infatti, maggiore è l’incidenza delle entrate/spese correnti sul patrimonio, minore sarà la possibilità dell’investitore di assumere rischio ovvero di investire con obiettivi di lungo periodo.

Nel budget, proiezione futura del bilancio, rientrano tutti i capitoli precedenti; esso fornirà un dato fondamentale: quali sono le necessità di liquidità nel breve periodo dell’investitore e per quale ammontare delle stesse l’investitore è attualmente preparato. Esse devono comprendere tutte le uscite (meno le entrate certe) cui si dovrà fare fronte in un periodo di almeno un anno. Tutte le informazioni che si riusciranno a collezionare nel budget andranno a definire l’orizzonte temporale dell’investitore.

Benché sia visto con fastidio da molti (per l’impegno che certamente genera nella sua formulazione) il budget risulta essere una componente necessaria alla corretta gestione del proprio patrimonio e di conseguenza agli investimenti.

Qualora vi siano spese/investimenti immobiliari di grande portata da affrontare nell’arco di uno–due anni sarà necessario tenerne conto e diminuire il rischio cui ci si espone.

In generale ci si deve porre una domanda del tipo: se i miei investimenti non rendessero nulla, in quanto tempo preleverei il 10, il 20 il 50 per cento o ancor più del capitale investito?

I bisogni immateriali

Di pari importanza rispetto ai bisogni materiali sono quelli immateriali, è infatti assolutamente necessario che l’investitore si trovi sempre a proprio agio con la collocazione del proprio portafoglio. Lo stress da investimento va lasciato agli speculatori (che tuttavia raramente impegnano tutto il proprio capitale per speculare sui mercati finanziari, anche loro non si sottraggono al profilo di rischio).

Conoscenze in materia di investimenti

Benché possa apparire scontato, è opportuno che l’investitore si crei un’opportuna base di conoscenze finanziarie prima di assumere posizioni con profilo di rischio elevato.

Chi non conosce i mercati e gli strumenti con cui essi possono essere utilizzati può trovarsi a disagio dovendo affrontare le condizioni tipiche degli stessi (i mercati azionari hanno volatilità superiore a quelli obbligazionari ed una singola azione può essere enormemente più rischiosa di un’obbligazione; anche le obbligazioni, specie se societarie ma anche di emittenti sovrane, possono far correre all’investitore rischi eccessivi, basti pensare a due casi: obbligazioni corporate emesse da Parmalat ed obbligazioni sovrane emesse dall’Argentina, di recente memoria).

Domande del tipo: «Negli ultimi dieci anni hanno reso più le obbligazioni o le azioni?» sono assolutamente fuori luogo. In caso di risposta negativa rivelano sia scarsa conoscenza sia scarsa informazione.

Anche affidandosi a professionisti del risparmio gestito resta comunque a carico dell’investitore l’onere di studiare gli strumenti e le loro caratteristiche e di mantenersi aggiornato sugli andamenti delle principali variabili finanziarie.

In particolare è opportuno mantenersi informati su:

  • tassi ufficiali di sconto e politiche monetarie delle banche centrali di maggiore rilievo;
  • andamento dell’inflazione;
  • cross valutari;
  • principali indici borsistici;
  • politiche di dividendi delle imprese.

In merito agli strumenti finanziari è necessario conoscere a fondo le caratteristiche di:

  • obbligazioni (in tutte le loro forme di emissione), che hanno come forme di controllo il rating e la duration;
  • azioni il cui profilo rischio/rendimento, pur variando nel tempo, può essere controllato a livello di portafoglio;
  • Exchange Traded Fund (ETF), caratteristiche, mercati in cui sono trattati e benchmark di riferimento;
  • Oicr (Organismi d’investimento collettivo del risparmio: i fondi comuni di investimento): caratteristiche, benchmark, società di gestione, commissioni, capacità di “superare il mercato” – dettagli da approfondire in quanto merito sia del gestore che della società di gestione;
  • derivati: concetti di base degli strumenti, i diversi contratti, potenzialità e rischi.

Chi desidera acquistare “da sé” gli strumenti finanziari farà bene a valutare banche e sim per verificare quali canali mettono a disposizione e quali strutture commissionali richiedono per i servizi forniti.

A tutto ciò si aggiunge naturalmente l’intero quadro normativo e fiscale vigente, assolutamente vario per la varietà di strumenti e paesi in cui essi possono essere acquistati.

In generale i seguenti elementi permettono di aumentare il rischio cui l’investitore può sottoporsi:

  • conoscenza ed informazione costante sui mercati e loro strumenti;
  • conoscenza dei principali fattori di rischio di portafogli azionari e obbligazionari;
  • esperienza accumulata negli anni nell’investimento;
  • scolarizzazione.

Attitudine al rischio

Ci si riferisce in generale all’atteggiamento che l’investitore assume di fronte al rischio o alle situazione avverse (quando il rischio, che si misura come probabilità, è divenuto certezza).

L’investitore desidera rischiare? Riesce a quantificare in che misura?

Quale performance negativa l’investitore può sopportare senza sentire la necessità di liquidare in tutto o in parte il proprio investimento?

Che cosa farebbe l’investitore se detenesse azioni e le borse crollassero in un solo giorno del 20%?

Che cosa farebbe l’investitore se le obbligazioni scendessero del 10% in sei mesi e ne detenesse in portafoglio?

Che cosa tende a fare l’investitore durante le discese del mercato?

Si sente a suo agio a pensare alla scadenza del suo investimento (cioè a rientrare in possesso del proprio denaro) a tre anni? A cinque anni? A dieci anni?

È consapevole che per ottenere rendimenti è necessario rischiare?

In quale dei seguenti portafogli si trova più a proprio agio? (partenza 1/1/1997 al valore di 1.000.000)

Diversi rendimenti

Diversi rendimenti

Se l’investitore considera troppo poco rischioso un portafoglio di sole obbligazioni e troppo rischioso un portafoglio con il 50% di azioni, in quali di questi andamenti si ritrova di più?

Riassumendo abbiamo visto cinque direzioni di approfondimento per la determinazione del proprio profilo di rischio:

  • esigenze di liquidità;
  • capacità di generare reddito e risparmio;
  • patrimonializzazione;
  • conoscenze in materia di investimenti;
  • attitudine nei confronti del rischio.

Asset allocation

1, novembre 2008 alle 7:19 PM | Pubblicato su Asset allocation | Lascia un commento

È la ripartizione del patrimonio in diverse tipologie di investimento, le cosiddette asset class.

Esempi di asset class: azionario Nord America Value, azionario zona euro, obbligazionario zona euro breve termine, obbligazionario paesi emergenti ecc.

Ogni asset class è identificabile attraverso un benchmark di riferimento, ovvero un indice numerico che rappresenta l’andamento nel tempo del valore degli strumenti finanziari ad esso sottesi.

Esempi di benchmark: l’indice italiano S&P/Mib, che rappresenta l’asset class azionario Italia, l’indice S&P500 che è il benchmark per l’asset class azionario Nord America Value espresso in dollari statunitensi.

Ogni asset class utilizzabile in un processo di asset allocation deve essere rappresentata da un benchmark o indice di riferimento.

Nota: la divisa in cui viene espresso un benchmark

In merito alla divisa è opportuno fare un distinguo: quando si utilizza un benchmark riferito ad un asset class non euro è necessario verificare se tale benchmark (indice) è espresso in euro o in valuta locale (nel caso dello S&P 500 per valuta locale si intende ovviamente il dollaro americano).

Risulta infatti evidente che un fondo avente come benchmark lo S&P 500 avrà rendimenti dovuti alla performance del mercato americano divisi per il cambio euro/dollaro USA, se il benchmark assunto è in divisa locale.

Dunque un fondo che investa senza coprirsi dal rischio di cambio avrà performance legate sia all’andamento dell’indice locale, sia all’andamento del cambio euro/divisa locale e dovrà avere come benchmark l’indice di riferimento espresso in euro.

Viceversa un fondo che investa coprendosi dal rischio di cambio avrà performance legate solamente all’andamento dell’indice locale e come benchmark l’indice di riferimento espresso in divisa locale.

Esempio. in rosso SP500 in euro, in nero SP500 in dollari

Esempio. in rosso SP500 in euro, in nero SP500 in dollari

Asset allocation statica

Per asset allocation statica si intende una ripartizione degli investimenti prefissata ed il più possibile costante nel tempo. Qualora tale ripartizione venga modificata da cause fisiologiche (movimenti dei mercati che determinano variazione delle percentuali di ripartizione) o cause esterne (prelievi e versamenti) si esegue un riallineamento degli investimenti, riportando le percentuali ai valori originali.

Lo spirito che muove chi abbraccia questo tipo di asset allocation è il seguente: i mercati sono efficienti e scontano tutte le variabili macro e microeconomiche appena esse palesano cambiamenti, quindi i migliori risultati possono essere raggiunti solo e semplicemente investendo nei mercati e non provando a migliorare i loro rendimenti entrando ed uscendo dai singoli mercati e settori (processo che viene definito di “market timing”).

Per definizione, dunque, chi si affida ad un’asset allocation statica, una volta definita la composizione del proprio portafoglio tenderà a modificarla il meno possibile. In generale vi saranno interventi di ribilanciamento solo quando le fisiologiche variazioni delle asset class o eventi esterni (prelievi e versamenti) avranno modificato la ripartizione degli investimenti in modo tale che essa non rispecchi più la volontà dell’investitore.

Questo stile di investimento, detto anche “a benchmark” o “passivo” ha il vantaggio di poter essere eseguito con costi piuttosto bassi sia in fase di definizione dell’asset allocation sia soprattutto durante l’esecuzione della stessa.

È infatti possibile scegliere tra gli strumenti meno cari a disposizione dell’investitore (portafogli diversificati di titoli o Etf) o l’utilizzo di strumenti magari più sofisticati ma senz’altro più costosi – quali per esempio i fondi comuni di investimento – solo per le asset class meno facilmente raggiungibili (si pensi all’azionario e obbligazionario Giappone, Asia o mercati emergenti). È inoltre possibile effettuare una selezione tra i fondi in modo tale da accedere ai migliori prodotti quanto a rapporto tra performance realizzate nel tempo e costi complessivi per l’utente.

Infine risulta evidente che la manutenzione del/dei portafogli è estremamente poco onerosa in termini di tempo e di denaro.

Il difetto di questo stile sta invece nella sua intrinseca incapacità di reagire alle variazioni del mercato: evidentemente grossi segni negativi nei mercati (azionari ma anche obbligazionari e valutari) si rifletteranno sul portafoglio con asset allocation statica – per la frazione sulla quale il portafoglio è investito – completamente. Diventa quindi necessario possedere una certa tolleranza rispetto alle variazioni dei mercati, a meno di non volere assumere posizioni estremamente poco rischiose (e di conseguenza altrettanto poco remunerative) in sede di definizione dell’asset allocation.

La ripartizione degli investimenti nelle diverse asset class costituenti la gestione a benchmark viene eseguita al termine di un processo di analisi composto di due fasi:

  • processo di analisi dell’investitore, affinché l’insieme degli

investimenti rispecchi le esigenze e gli obiettivi dell’investitore e la sua maggiore o minore inclinazione al rischio;

  • processo di analisi dei mercati in cui si investe, con definizione del

rapporto di rischio e rendimento di ogni mercato e soprattutto la verifica di quale sia il mix ottimale di asset class da introdurre, sfruttando in tal modo appieno i vantaggi della diversificazione.

Il secondo punto è effettivamente svolto con diverse tecniche, non ultima quella di ripartire il portafoglio rispecchiando i pesi percentuali dei singoli mercati relativamente ai mercati nel loro complesso (es. dal momento che l’Italia ha un peso nelle borse mondiali tra l’1% ed il 2% investirò circa il 2% del capitale destinato alla parte azionaria sulla borsa italiana). Tale assunzione può senz’altro essere considerata discutibile, ma non è l’unica ad esserlo ed inoltre induce ad investire di più in mercati più ampi e quindi, in generale, più efficienti.


Asset allocation dinamica

Per asset allocation dinamica si intende invece un processo di manutenzione continuativa del/dei portafogli.

In questo caso lo spirito che muove l’investitore e il gestore è il seguente: ritengo di poter fare meglio del mercato in termini di rapporto rendimento/rischio, quindi opero dei cambiamenti al portafoglio di investimento nel tempo e mi discosto anche di molto dal cosiddetto benchmark di base (supposto essere un portafoglio efficiente di investimenti).

Partendo dalla base comune della definizione del profilo dell’investitore (con le sue esigenze e la sua propensione al rischio) si crea una asset allocation iniziale, con adeguata distribuzione degli investimenti nelle principali asset class. Su questo archetipo vengono poi effettuate nel tempo delle variazioni (le cosiddette sotto/sovraesposizioni) in funzione delle aspettative nei confronti dell’evoluzione dei mercati.

Questa fase può essere attuata seguendo due diverse tipologie metodologiche:

metodi basati su modelli econometrici: si producono delle stime componendo degli scenari di riferimento per le diverse variabili macroeconomiche (ma anche per gli andamenti delle singole aziende); in generale, ai diversi scenari vengono associate delle probabilità di realizzazione e di seguito vengono eseguiti gli acquisti su determinati mercati e titoli;

metodi basati su modelli quantitativi: algoritmi più o meno sofisticati leggono gli andamenti storici dei mercati e ad essi reagiscono componendo uno scenario attivo su cui basarsi per realizzare gli investimenti.

Rispetto all’asset allocation statica, la dinamica presenta il vantaggio di sapere reagire all’andamento dei mercati, modificatosi per i più svariati motivi, e fondandosi su criteri conservativi tende a spostare gli investimenti laddove vi sia il miglior rapporto tra rendimento e rischio (rapporto che è, in ultima analisi, il generatore dell’equilibrio del mercato dei capitali).

Lo svantaggio dell’asset allocation dinamica risiede esattamente dove si trova il suo pregio: necessita di cura manutentiva costante, che deve essere proporzionata alle possibilità dell’investitore, richiedendo competenze e tempo per l’analisi dei mercati. Inoltre la gestione di movimenti all’interno del/dei portafogli, affinché risulti efficiente deve essere rapida e poco onerosa. Questo costringe spesso a rivolgersi a prodotti affini (come i fondi comuni di investimento) che hanno a loro volta costi ineliminabili di una certa incidenza.

Si palesa dunque la necessità di trovare un equilibrio tra la bontà degli strumenti di investimento, i loro costi ed un modello di manutenzione del portafoglio efficace, al fine di ottenere un mezzo di investimento veramente vantaggioso.

Infine, rispetto alle asset allocation “a benchmark” le asset allocation dinamiche soffrono in generale di un certo ritardo di esposizione ai mercati azionari quando questi, dopo un periodo negativo, risalgono rapidamente. Anche in questo caso il lato negativo va di pari passo con quello positivo (non essere stati esposti ai mercati in discesa).

tratto da: Asset allocation: che cosa sono e come si realizzano – Gianni Costan (CDB)

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